Il 2016 eredita alcune delle questioni che hanno influenzato, soprattutto in negativo, i mercati nell’anno appena concluso. Sono le problematiche relative all’andamento negativo delle materie prime (ed, in primis, della materia prima per eccellenza ossia il petrolio), all’avvio di un nuovo ciclo di tassi crescenti negli Usa ed al rallentamento della crescita nei mercati emergenti ed in particolare in Cina.
Già nel corso del 2015 infatti il periodico ripresentarsi di queste tematiche all’attenzione degli operatori di mercato ha contribuito a flessioni dei listini azionari, a cominciare dalla forte correzione registrata nel mese di agosto a seguito dei primi segnali di incertezza nella crescita cinese. Analizziamole quindi nel dettaglio:
- petrolio: l’oro nero non sembra aver arrestato il suo trend negativo e, dopo un tentativo di rimbalzo nella parte centrale del 2015, ha raggiunto nuovi minimi proprio a dicembre. In generale tutte le materie prime hanno seguito questo andamento con gli indici che ne misurano l’andamento che si trovano su livelli inferiori a quelli di inizio 2009, all’apice della crisi finanziaria. Un petrolio meno caro rappresenta da un lato un sollievo per tutti i paesi importatori ma contribuisce anche a spingere al ribasso dei prezzi al consumo in un periodo in cui la deflazione è vista come un nemico da evitare a tutti i costi, oltre a costituire un freno a nuovi investimenti nell’industria petrolifera e a mettere in crisi un intero settore, quello dello shale oil, fortemente indebitato nei confronti del sistema bancario. Molti osservatori mettono poi in relazione l’andamento dei prezzi delle materie prime con quello dei mercati azionari e dell’economia ricordando come la diminuzione dei prezzi dei primi possa essere indice di un rallentamento della domanda. In realtà è difficile capire quali dei due elementi sia la causa e quale l’effetto ed è possibile notare che, a partire dal 2011, gli indici di materie prime e mercati azionari, che fino ad allora avevano seguito percorsi paralleli, abbiano proseguito su strade nettamente divergenti: i primi al ribasso e i secondi al rialzo. La crisi del petrolio inoltre sembra più un problema di offerta che di domanda e quindi, per il momento, una ulteriore diminuzione del prezzo non dovrebbe essere vista come un rischio particolarmente elevato anche perché i margini stessi di riduzione dei prezzi, in termini assoluti si sono ristretti.
- tassi: la questione che ha tenuto banco per buona parte dell’anno è stata quella relativa alle modalità di conclusione della politica dei tassi zero da parte della Federal Reserve; il primo ritocco all’insù dei tassi ufficiali è stato più volte rinviato perché la situazione dell’economia e/o le condizioni dei mercati non sembravano renderlo opportuno. Negli ultimi tempi tuttavia era diventato però sempre più chiaro che questo rinvio non avrebbe più avuto gli effetti benefici di un tempo ma, anzi, avrebbe rischiato di bloccare indefinitamente le decisioni della banca centrale americana. Tassi più alti non sono automaticamente una buona notizia per l’economia privata, che deve sopportare maggiori costi per finanziarsi a debito, ma lo sono se rappresentano un ritorno alla normalità dopo anni di una situazione eccezionale dettata dall’emergenza della crisi finanziaria. Inoltre dimostrano che l’economia è in grado di procedere autonomamente senza ulteriori stimoli oltre a restituire margini di manovra alle autorità di politica monetaria in caso di nuove emergenze in futuro. La storia mostra che, di norma, il primo anno di politica monetaria restrittiva è accompagnato da un andamento positivo dei mercati azionari, stavolta però la storia potrebbe non ripetersi perché siamo, come detto, in condizioni di eccezionalità: la politica accomodante è durata molto più a lungo che nelle crisi precedenti (7 anni di tassi ai minimi contro 2-3 anni delle precedenti recessioni) e la crescita potrebbe mostrare già i primi segnali di rallentamento. Se ciò si verificasse il dilemma della Fed potrebbe ripresentarsi sostanzialmente negli stessi termini: continuare con la politica di ritocchi graduali con il rischio di provocare una nuova recessione o temporeggiare ulteriormente rischiando di perdere credibilità? E’ altamente probabile che torneremo ad assistere a fibrillazioni dei mercati in corrispondenza delle riunioni della Banca Centrale americana che ha promesso almeno 3 ulteriori interventi nel corso dell’anno. Un rialzo dei tassi americani farà poi affluire capitali negli Usa a scapito di altri paesi, in primis gli emergenti e questo introduce la terza delle questioni.
- Cina: ad Agosto 2015 è diventato chiaro che qualcosa nel miracolo economico cinese non funzionava più bene come prima e che molti degli eccessi a cui avevamo assistito negli ultimi anni rischiavano di presentare il conto contemporaneamente. Bolla azionaria, bolla immobiliare, politiche demografiche errate, uno sviluppo basato eccessivamente sulle esportazioni e poco sulla crescita dei consumi interni: la Cina sembra contenere molti degli elementi che possono sfociare in una crisi sistemica di vasta portata. A ciò si aggiunge una classe dirigente che non sembra aver compreso pienamente il funzionamento delle economie di mercato ed una scarsa trasparenza sulle rilevazioni statistiche del tasso di crescita effettivo dei vari settori economici. La situazione, almeno sul fronte del mercato azionario, sembra essersi normalizzata negli ultimi mesi ma la Cina non è l’unico paese emergente ad essere in crisi: dei famosi Brics ormai solo l’India sembra procedere senza particolari incidenti di percorso mentre Brasile e Russia sono scivolati in recessione nell’ultimo anno. Una frenata consistente in molti paesi emergenti potrebbe costituire una seria minaccia alla crescita economica globale che fa molto affidamento proprio su queste economie per mantenersi su livelli accettabili.
Infine non va sottovalutato come questi elementi possano interagire tra loro influenzandosi reciprocamente: come detto tassi Usa più elevati possono provocare un deflusso di capitali dai paesi emergenti mettendo in crisi le loro economie e riducendo la domanda di materie prime che provoca così un ribasso dei prezzi.
Riusciranno petrolio, tassi e Cina a guastare la festa dei mercati azionari che dura ormai da sei anni? E’ presto per dirlo ma già il fatto che siamo a conoscenza dei problemi che ci aspettano ci porta a ritenere che non saremo impreparati a gestirli e ad essere moderatamente ottimisti sul futuro.
Un augurio a tutti i nostri lettori per un 2016 ricco di soddisfazioni!
C.G.