Passati ormai 10 giorni dal fatidico 21 dicembre, che doveva decretare la fine del mondo secondo il calendario Maya, possiamo brindare allo scampato pericolo e riparare sulla interpretazione alternativa che identificava nel giorno del solstizio di inverno l’inizio di una nuova era. Per quanto riguarda il mondo dell’economia in particolare ci sono alcuni segnali in questo senso che hanno iniziato a manifestarsi già nell’ultima parte del 2012: primi indizi che il copione seguito finora potrebbe cambiare radicalmente con una rapida inversione dei ruoli. Vediamo alcune di queste macrotendenze.
- Usa incamminati sulla via del rigore: fiscal cliff o no è indubbio che, con un deficit prossimo al 10% del Pil, gli Stati Uniti debbano fare qualcosa di più per stabilizzare il debito pubblico. Nonostante gli Usa siano usciti dall’ultima recessione con un tasso di crescita mediamente più alto dell’Europa, questo non sembra sufficiente a tenere testa alle dinamiche del debito, specie se si considera che negli ultimi anni il settore pubblico si è fatto carico di buona parte dei buchi creati dalla crisi finanziaria (nazionalizzazione del sistema dei mutui, salvataggi di banche e assicurazioni) mentre quello privato continuava a godere degli sgravi fiscali concessi dall’amministrazione Bush in un periodo in cui il bilancio pubblico era molto più in equilibrio di oggi. Grazie alle ripetute operazioni di quantitative easing promosse dalla Fed si è riusciti a rimandare il problema ma è ormai chiaro che questo meccanismo non potrà continuare indefinitamente. Una stretta fiscale non sarebbe poi così drammatica, si tratta solo di renderla graduale nel tempo, evitando che l’economia ritorni in recessione a causa dell’introduzione di provvedimenti troppo corposi e concentrati nel tempo (in tal senso il fiscal cliff va evitato), ma questo potrebbe togliere comunque all’America il ruolo di locomotiva dell’economia mondiale per diversi anni.
- Piigs la rivincita dei rating: sì mettiamo pure anche l’Italia nell’elenco dei cattivi visto che si tratta di una buona notizia. Sono molti i segnali che vedono i paesi periferici d’Europa prossimi ad un cambio di atteggiamento da parte di mercati ed agenzie di rating: ha iniziato l’Irlanda che già ad inizio 2012 vedeva spread in miglioramento e nel 2013 punta ad uscire definitivamente dalla crisi e tornare ad avere pieno accesso al mercato dei capitali. Spagna e Italia sembrano aver superato il momento più critico in estate dopo le rassicurazioni della Bce e pure la tanto bistrattata Grecia ha avuto un primo riconoscimento positivo con un miglioramento del rating da parte di S&P dopo il buyback sui titoli di stato. In un momento come l’attuale, con rendimenti sui titoli del debito pubblico degli stati tripla A ai minimi storici, la percezione che i paesi più a rischio, che offrono però anche i rendimenti maggiori, abbiano raggiunto la sostenibilità del debito (ossia la stabilizzazione del rapporto debito/Pil) potrebbe innescare una corsa all’acquisto che risulterebbe in un circolo virtuoso con benefici non solo per il settore pubblico ma anche per quello privato;
- Germania cicala d’Europa: il paese con l’economia più florida e coi conti più in ordine all’interno dell’Unione Europea raggiungerà il pareggio di bilancio già dal 2013 ma potrebbe anche essere vittima dei suoi successi, almeno di quelli sui mercati finanziari. I tassi incredibilmente bassi hanno permesso, nel 2012, di dirottare risorse pubbliche a sostegno di lavoratori e imprese che vedevano rallentare le dinamiche congiunturali mentre le elezioni in calendario per il prossimo autunno potrebbero spingere i partiti al governo a concedere ulteriori benefici, anche in considerazione del rallentamento previsto per l’economia tedesca nel 2013. Ma se il processo di convergenza dei tassi dovesse riprendere e la Germania si trovasse a pagare interessi sul debito ad un livello intermedio tra il proprio e quello dei paesi periferici (ossia almeno il doppio di quanto pagato attualmente) anche gli obiettivi sul deficit potrebbero essere messi in discussione. Forse questa visione è un po’ estrema ma non va dimenticato che nei primi anni duemila la Germania soffriva di un basso tasso di crescita ed aveva un deficit pubblico al di sopra del 3% del Pil, problemi che potrebbero ripresentarsi anche alla luce di una popolazione che sta invecchiando rapidamente con i connessi costi per pensioni e sanità pubblica.
In sintesi prepariamo ad abbandonare alcune delle vecchie certezze che abbiamo avuto finora e a raccogliere, sperabilmente, i frutti dei sacrifici fatti nell’ultimo anno
Un augurio a tutti i nostri lettori per uno splendido 2013
C.G.