E' normale a inizio anno fare previsioni sul possibile andamento dei mercati finanziari nel periodo appena aperto. Quest'anno il ritornello che si sente più di frequente è che le borse aumenteranno sicuramente perché sono reduci da tre anni di cali ed è poco probabile che a questi ne segua un quarto; c'è addirittura chi si è preoccupato di misurare statisticamente la probabilità che questo avvenga osservando le serie storiche passate. Risultato: meno del 5% la probabilità che anche nel 2003 i mercati abbiano un andamento negativo. Altri si sono focalizzati sul ribasso che c'è stato dai massimi del 2000: -50% in media, notando che storicamente un calo del genere difficilmente viene seguito da ulteriori correzioni al ribasso; i graficisti infine fanno notare che ormai siamo nella parte bassa del "canalone" rialzista di lunghissimo periodo e ciò comporterà sicuramente una spinta verso l'alto per tornare in una posizione intermedia.
Le statistiche relative alle serie storiche ne ricordano una simile pubblicata nel 1992, essa recitava più o meno così: "Se nel mese di Gennaio la Borsa aumenta, la probabilità che a fine anno ci sia un segno positivo è più alta del 50%, ma se il mercato aumenta sia nella prima settimana che nel primo mese di contrattazione la probabilità è del 100%" e così di seguito, a fare esempi di anni di crescita costruita soprattutto nei primi mesi e a ricordare che in quell'anno si erano rispettate entrambe le condizioni; peccato che la serie "magica" ebbe fine proprio nel 1992, con una delle peggiori performance degli anni 90 per il mercato italiano.
Il problema dell'utilizzo delle serie storiche per la previsione degli andamenti futuri si può raffigurare in una efficace espressione: "E' come pretendere di guidare una macchina guardando nello specchietto retrovisore", chi invece ha affrontato più scientificamente la questione ha dimostrato che le serie storiche (e tutte le regole basate sull'utilizzo dei ratios di mercato che possono essere considerati loro parenti più o meno prossimi) diventano inutilizzabili, al fine di fare profitti, una volta diventate note al pubblico. Da questo punto di vista quindi la migliore indicazione che se ne può trarre è che anche le serie storiche citate quest'anno finiranno per essere puntualmente smentite (e per fortuna che c'è quel 5% di incertezza..).
Quello che si vuole sostenere non è però che i mercati caleranno ma che queste motivazioni non hanno alcun fondamento: le regolarità che si riscontrano nelle serie storiche, una volta diventate patrimonio di tutti, entrano a far parte delle aspettative degli investitori e, per definizione, ad essere già incluse nei prezzi correnti. Se sono già incluse nei prezzi correnti difficilmente potranno influenzare anche i prezzi futuri.
Se si vuole cercare di capire quale sarà l'andamento dei mercati occorrerà invece tenere sotto controllo altre variabili più orientate agli sviluppi futuri e in particolare:
1. quale sarà l'evoluzione del tasso di crescita dell'economia;
2. come procederà il processo di risanamento/ristrutturazione delle imprese dopo la sbornia da new economy;
3. come muteranno le aspettative degli investitori nei confronti degli investimenti in capitale di rischio;
Il primo punto è banale: difficilmente ci sarà una ripresa dei corsi azionari in assenza di una ripresa dell'economia, gli esperti sono concordi nel fissare la ripresa nella seconda metà dell'anno; il problema è che il tasso di crescita che ereditiamo dal 2002 è asfittico per quanto riguarda l'Europa (più vicino a zero che a 1%) e drogato da una imponente manovra fiscale nel caso degli Stati Uniti; ciò non depone a favore dell'andamento nei mesi futuri. Fortunatamente le politiche monetarie agiscono in senso espansivo, con i tassi a breve e a lungo termine ai minimi storici, ciò dovrebbe indurre un aumento degli investimenti e dare origine ad una crescita sana: forse sarà questa una delle principali voci da tenere sotto controllo per avere il polso della ripresa nel 2003.
Per quanto riguarda le imprese: la ristrutturazione è una condizione necessaria per poter fare maggiori profitti in presenza di un volume d'affari costante o in lenta crescita. Molte aziende soffrono ancora per le strutture sovradimensionate costruite negli anni in cui si credeva che la crescita portata dalla new economy avrebbe aperto i mercati ad un numero sempre maggiore di clienti. Anche se le ristrutturazioni aziendali fanno parte più dell'ambito "micro" (singoli casi) che "macro" (aggregato) un indicatore valido per capire se complessivamente si sta procedendo nella direzione giusta potrà essere l'aumento della produttività; se lo sviluppo di questo indicatore sarà sostenuto come negli ultimi anni sarà una garanzia di migliori risultati aziendali anche in presenza di bassa crescita dell'economia.
Infine le aspettative: se negli anni del boom dei mercati azionari il premio per il rischio implicito nei prezzi era sceso ai suoi minimi storici, negli ultimi anni di sboom si è assistito ad una sua risalita; si parla sempre con maggiore frequenza di repulsione degli investitori verso l'investimento in azioni e il quadro internazionale di attuale incertezza non aiuta certo in questo senso. Il premio per il rischio non è direttamente osservabile: può essere misurato solo facendo ipotesi sull'andamento futuro degli utili e quindi ha un certo grado di soggettività, ma esso influisce direttamente sulla valutazione delle aziende, costituendone una componente fondamentale del denominatore; la sua futura evoluzione sarà importante quanto i primi due fattori.
A voi la scelta: meglio armarsi, per le proprie scelte di investimento, di serie statistiche e grafici o crescita, produttività e premio per il rischio ?
C.G.