Nella stampa specializzata è da un po' che se ne parla, quantomeno dallo scorso autunno, in ambienti accademici il fenomeno è noto ed è stato teorizzato da tempo ma è solo recentemente, con la pubblicazione di una serie di dati quasi contemporanei relativi all'Unione Europea e agli Stati Uniti, che il caso è esploso e ha conquistato le cronache quotidiane: il rischio deflazione potrebbe diventare una realtà anche in occidente.
I numeri parlano chiaro: nel primo trimestre dell'anno la crescita dell'economia si è arrestata in Europa (con arretramenti per quanto riguarda Germania e Olanda) ed è rimasta debole negli USA, ma è dai prezzi al consumo che arrivano forse i segnali più preoccupanti: in Aprile sia in America che in un buon numero di paesi europei si sono avute riduzioni dei prezzi variabili dallo 0,1 % allo 0,3 %. Certo, il calo dei prezzi petroliferi ha contribuito a questa variazione ma oggi il problema è diverso dal solito perché non c'è crescita. Prezzi calanti, grazie al calo delle materie prime, si erano già visti: nel 1986 con il più che dimezzamento dei prezzi del petrolio l'inflazione scese sotto zero in Germania per alcuni mesi ma nessuno gridò allo scandalo perché l'economia cresceva: il problema odierno è invece nella combinazione di prezzi calanti e crescita assente, un vero veleno per l'economia.
A prima vista (specie in Italia, dopo le polemiche sugli aumenti ingiustificati seguiti all'introduzione dell'Euro e alle tariffe RC auto) sembrerebbe quasi un bene se i prezzi calano: a parità di reddito nominale un calo dei prezzi aumenta i redditi reali. Questo può essere vero nel breve termine, nel lungo termine però le cose vanno diversamente: prezzi calanti portano a dilazionare le spese dei consumatori (se so che il prezzo di un prodotto calerà sono incentivato ad aspettare prima di comprarlo), ciò causa una ulteriore contrazione dell'economia e potenzialmente dei prezzi stessi, generando una spirale che si autoalimenta: sembra evidente che la cosa non possa funzionare a lungo visto che le aziende difficilmente possono sopportare riduzioni dei ricavi sia in termini di volumi che di prezzi mantenendo stabili i salari. Inoltre l'effetto reddito, dato da prezzi più bassi, inizialmente positivo sulla domanda dei consumatori, potrebbe essere controbilanciato da un effetto ricchezza negativo: in un mondo di prezzi calanti anche i beni reali come immobili e azioni (che in periodi di inflazione tendono a difendere il loro valore) tendono a ridursi di prezzo, a volte molto rapidamente. Ma ciò che è peggio è che in un mondo di prezzi calanti alcuni strumenti di stimolo della politica economica risultano inutilizzabili: i tassi di interesse ad esempio; dal momento che non è possibile avere tassi negativi (perché nessuno depositerebbe il denaro in banca) lo stimolo di una politica monetaria accomodante è difficile da attuare.
L'esempio più vicino alla deflazione da "manuale di economia" è il Giappone degli anni novanta: dopo aver attraversato le fasi di bolla azionaria e immobiliare (anni ottanta), sgonfiamento di entrambe e crisi economica ('91-'92) il paese si è trovato in un periodo di stagnazione economica e prezzi calanti che nemmeno ripetuti interventi del governo, con manovre economiche di notevoli dimensioni sono riusciti a cambiare. Dal 1995 i prezzi sono diminuiti complessivamente di un 7% circa, la Borsa ha perso nello stesso periodo più del 50% e agli immobili non è andata meglio; i tassi ufficiali sono allo 0,1% da parecchio tempo ma questo sembra non abbia sortito grossi effetti sull'economia. Il debito pubblico, in compenso, è salito al 140 % del PIL dopo un periodo (anni ottanta) in cui i bilanci erano stati in attivo; difficile dire che questa sia una economia in cui è desiderabile vivere.
Chi è il prossimo candidato ad entrare nel club della deflazione ? Tra Europa e USA sembra che la prima sia più vicina al baratro, o, per meglio dire, che non faccia niente per allontanarvisi: l'Euro forte degli u ltimi mesi (sarà un caso che anche il Giappone avesse uno Yen forte prima di entrare in deflazione ?) contribuisce sia a deprimere le esportazioni e quindi l'economia reale, che a importare deflazione per mezzo delle merci acquistate a minor prezzo dagli altri paesi.
Nella speranza che le autorità di politica economica inizino a fare qualcosa di concreto in questo senso (ricordiamo solo che un tasso di sconto del 2% in presenza di un'inflazione del 2% può costituire uno stimolo per l'economia mentre è fortemente penalizzante se i prezzi calano) vediamo come ci si può cautelare nella scelta degli investimenti finanziari in caso di scenario di deflazione. Innanzi tutto si può trarre qualche insegnamento dall'esperienza giapponese: limitare gli investimenti sul mercato azionario (la Borsa giapponese è forse l'unica al mondo che è oggi ad un livello inferiore di quello di fine anni ottanta) e immobiliare; privilegiare i titoli a tasso fisso a lunga scadenza (se un titolo trentennale con cedola al 3% vale 100, con i tassi al 3%, potrebbe arrivare a valere fino a 170, con tassi allo 0,5%), facendo attenzione alle capacità di rimborso del creditore, dal momento che, in presenza di prezzi calanti, un debito nominale acquisisce un peso crescente nel tempo.
Ma, non potendo escludere del tutto l'investimento azionario dai portafogli, e non volendo essere catastrofisti a tutti i costi, vale la pena di ricordare qualche principio da applicare nella valutazione di aziende per uno scenario che possiamo definire "avviato verso" ma "non ancora in" deflazione:
- i tassi di crescita devono essere adattati: se il tasso di crescita di lungo periodo presuppone, in condizioni normali, una crescita reale del 2/3% ed una identica crescita dei prezzi, risultando in un tasso nominale del 5%, nello scenario di deflazione si devono correggere questi parametri allo 0/1% con un tasso nominale che difficilmente supera il 2%;
- i margini devono tener conto del mutato scenario economico: come già detto alcune componenti di costo (es. costo del lavoro) per le aziende possono essere più rigide dei beni e servizi che si comprano e vendono sui mercati, influendo negativamente sui margini;
- i tassi di rendimento delle attività finanziarie devono essere adeguati: le società che detengono attività finanziarie (banche e assicurazioni) avranno rendimenti più ridotti ma allo stesso tempo si ridurrà il costo delle loro passività finanziarie; quasi mai comunque si tratta di un gioco a somma zero dovendo, per raccogliere denaro, applicare comunque tassi positivi;
Infine un consiglio, lo Stock Picking è sempre la migliore tecnica di investimento, soprattutto in casi come questo: in Giappone i venditori di casseforti, tipico strumento per custodire in casa il denaro che nessuno depositava più in banca, hanno fatto affari d'oro anche in piena deflazione !
C.G.