L'iniziativa "Patti Chiari", il progetto delle banche italiane per migliorare il livello di trasparenza nei confronti della clientela, ha prodotto il suo primo risultato tangibile: un elenco di circa 900 titoli obbligazionari a basso rischio (e basso rendimento) a disposizione di tutti i risparmiatori.
Il progetto non si ferma alla semplice esposizione dell'elenco ma è stata manifestata anche l'intenzione di tenere informati gli investitori sulle variazioni intervenute nel tempo, soprattutto in caso di aumento dei livelli di rischio dei titoli acquistati, aumento che sarà segnalato tempestivamente.
In un certo senso si può dire che questo dovrebbe essere una garanzia per evitare che risparmiatori avversi al rischio vengano coinvolti in nuovi casi Cirio (o Argentina) e per comunicare a chi non è esperto di economia e finanza che ci si può tornare a fidare dei consigli delle banche in materia di investimenti finanziari.
Non entriamo nel merito dell'iniziativa ma vogliamo utilizzarla per prendere spunto per una domanda: "Si arriverà a fare lo stesso anche con le azioni ?"
La domanda è meno peregrina di quanto sembri, in realtà già si sono fatte operazioni del genere anche se non si è mai arrivati ad un elenco come quello fornito dalle banche alla propria clientela per i titoli a reddito fisso; i principali esempi che vale la pena ricordare sono due:
- il segmento STAR: all'interno del mercato azionario italiano un gruppo di titoli è classificato all'interno di una particolare categoria che non segue i soli criteri di capitalizzazione e quantitativi scambiati tipici di Mib30 e Midex. STAR ossia Segmento dei Titoli ad Alti Requisiti dove i requisiti principali rilevanti per l'appartenenza alla categoria sono il flottante, la trasparenza in materia di bilanci e la presenza di uno specialist che garantisce liquidità al titolo (oltre alla capitalizzazione inferiore a 800 milioni di ? e a particolari regole di corporate governance). Questi criteri sono importanti in un mercato come quello italiano, fatto di molte piccole e medie imprese, spesso sotto il controllo quasi totalitario delle famiglie fondatrici, condizioni che determinano una bassa liquidità e non incentivano a mantenere alta la trasparenza nei confronti degli investitori, peccato che nessuno di questi parametri sia garanzia di successo per i titoli in questione e soprattutto di solidità delle aziende emittenti. Il nome invece trae in inganno; STAR (alti requisiti per chi abbia indagato sul significato della sigla) ma ben pochi sanno quali sono le peculiarità dello STAR e l'esempio si è avuto con Giacomelli: società ammessa allo STAR dal 2002 ma che dall'estate di quest'anno versa in gravi condizioni finanziarie. Più di un risparmiatore ha scritto ai giornali specializzati lettere di questo tono: "Ma come è possibile che una società quotata allo STAR sia sull'orlo del fallimento ?"
- la riforma del Nuovo Mercato: già da alcuni mesi sono state avanzate varie proposte per differenziare, all'interno di questo listino, i titoli con prospettive di crescita (e redditività) future da quelli che hanno tradito le aspettative iniziali. Le proposte si sono indirizzate sulla considerazione di almeno due parametri: la crescita del fatturato e i margini (MOL), che nella versione più restrittiva devono non solo essere in crescita ma anche essere positivi. Una volta decisi i parametri si dovrebbe arrivare a differenziare una serie A (titoli promossi) e da una serie B (titoli respinti o rimandati).
Da quanto emerso finora non si può dire che sul fronte azioni ci sia da stare particolarmente allegri: una cosa è classificare un'obbligazione basandosi sull'affidabilità dell'emittente e garantire a chi l'acquista che non correrà rischi, a questo scopo esistono i rating ed in realtà il maxi elenco dei 900 bond non è altro che un censimento dei titoli ad alto rating; un'altra è voler fare distinzioni tra titoli azionari.
Le azioni sono strumenti finanziari m olto più complessi dei bond, tra le principali differenze vanno annoverati:
- l'incertezza dei flussi futuri: ovvero cedole versus dividendi. Mentre gli obbligazionisti possono godere di una relativa tranquillità relativamente ai flussi che incasseranno, gli azionisti sono sottoposti non solo all'andamento dei risultati della società ma anche alle politiche finanziarie della stessa. La teoria della finanza dice che è nell'interesse del management di una società mantenere i dividendi stabili o in leggera crescita nel tempo ma sono anche molti gli esempi di società particolarmente generose dal punto di vista dei dividendi pagati che sono state incorporate nella capogruppo proprio perché era troppo "caro" remunerare gli azionisti di minoranza;
- la rischiosità del capitale investito: un investimento non è per sempre, prima o poi deve essere liquidato. Ma come dicono gli anglosassoni l'azionista di una società è "risk bearer" e "residual claimant" sopporta il rischio e trattiene per se quello che rimane dopo aver soddisfatto gli altri portatori di interessi, in certi casi può quindi accadere che il "residuo" sia inferiore a quanto inizialmente impiegato o non ci sia proprio. Non esistono aziende che si sottraggono a questa logica e introdurre classificazioni che illudano in una maggiore sicurezza del capitale investito in determinati titoli può in un certo senso rappresentare una mistificazione della realtà;
- l'orizzonte temporale: mentre un titolo obbligazionario ha una durata determinata (al massimo si arriva a 30 anni, sono ormai rarissime le emissioni dei cosiddetti titoli "irredimibili" o rendite perpetue) un'azione non ha una durata prefissata, ciò costringe chiunque voglia liquidare l'investimento ad accettare il prezzo di mercato (mentre un obbligazionista può sempre portare il titolo a scadenza), questo aspetto ci introduce all'ultima differenza;
- la determinazione del prezzo di mercato: mentre per un'obbligazione si tratta di una "quasi formalità" derivante dalla certezza dei flussi futuri (a maggior ragione se a basso rischio e a breve scadenza) per le azioni il prezzo è oggetto di continui mutamenti derivanti dal confronto tra domanda e offerta. Questo è il punto più critico: il "test" del mercato difficilmente può essere superato con informazioni parziali e soprattutto che guardano al passato (così come sono i bilanci storici).
Quando si può dire che un'azienda va bene ? Probabilmente quando riesce a generare flussi di cassa positivi e crescenti nel tempo, ancora meglio se crea valore (ossia se ha una redditività superiore al costo del capitale). Ma questi dati sono o non sono già incorporati nei prezzi ? Esempi di società che risultavano tra i best performer dal punto di vista dei risultati aziendali ma che hanno ottenuto risultati negativi dal punto dell'andamento delle azioni sono stati frequenti negli ultimi anni per un motivo molto semplice: le quotazioni erano salite già ben oltre il valore implicito in quei risultati.
E' auspicabile allora rinunciare definitivamente ad una classificazione dei titoli azionari ? Non necessariamente, l'iniziativa proposta per il Nuovo Mercato aiuta gli investitori perché raccoglie e mette a confronto i principali dati di bilancio delle aziende in questione, inoltre contribuisce a focalizzare l'attenzione sulle voci di bilancio di maggiore importanza (in questo senso la scelta del MOL come parametro chiave per la discriminazione è positiva). Ma la strada da fare per una migliore comprensione delle opportunità di investimento nei vari titoli non si può fermare alla sola analisi di alcune voci dei bilanci storici.
Gli elenchi e le classificazioni non sono quindi un problema se presi come strumenti per districarsi nella massa di informazioni disponibili nel mondo della finanza, ma lo diventano quando costituiscono un alibi per non utilizzare la propria razionalità al momento delle decisioni di investimento.
C.G.